Fonte: Il Messaggero cultura
Un'urna cineraria romana, trovata ad Anagni, antica di duemila anni, larga mezzo metro e con un'iconografia insolita e bellissima, dal 2002 è al Metropolitan a New York, che l'ha comperata da Sotheby's per oltre 260 mila dollari. leggi articolo originale
Al Metropolitan i misteri dell’urna di Anagni
Un’urna cineraria romana antica di duemila anni, larga mezzo metro e con un’iconografia insolita e bellissima, dal 2002 è al Metropolitan a New York, che l’ha comperata da Sotheby’s per oltre 260 mila dollari.
È stata scavata ad Anagni nel 1899, ed è uscita dal nostro Paese senza nessun permesso: probabilmente, negli Anni 60 del secolo scorso. E ora è al centro di un mistero, perché dopo l’acquisto, è incredibilmente saltato fuori, e chissà come, un rilevante frammento che la completa. È una storia tutta da raccontare, per le sue mille stranezze. Il reperto non mostra volti, o nomi ed epigrafi, su alcun lato: su tre, solo svariati cumuli di scudi, schinieri e corazze, le ruote d’un carro; l’altro ha una falsa porta affiancata da alberi d’alloro, ma è molto lacunosa. Un evidente bottino di guerra. Per Sotheby’s, «un esempio unico». «Gli specialisti l’hanno paragonata alla base della Colonna Traiana», dice Sandra Gatti, archeologa della soprintendenza per il Lazio
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LA STORIA
Ne parla per la prima volta la contessa Ersilia Caetani Lovatelli, nel 1900: trovata ad Anagni, sui campi di Pietro Balestra, a due chilometri dalla Villa degli imperatori, già di Marc’Aurelio, poi dei Severi. Durante i lavori agricoli, una camera sepolcrale rettangolare, con l’urna «infranta in vari pezzi»; altri frammenti «non fu possibile recuperarli, per quante ricerche ed escavazioni fece a tal effetto il sig. dott. Pietro Balestra». Non si sa a chi appartenesse, certamente a un condottiero ma al ritrovamento, mancava ogni iscrizione. È in marmo lunense, «assai leggiadramente istoriata». Gli insiemi di oggetti bellici la fanno quasi sembrare un’opera assai più vicina a noi: se è lecito lo sfondone, quasi cubista. Se ne accorge anche il Metropolitan. All’asta, è quotata da 60 a 90 mila dollari però il museo ne sborsa parecchi di più, pur di averla: «Altamente inusuale la sua iconografia», «i pannelli rappresentano un lavoro di alta qualità, eseguito per una committenza speciale».
L’oggetto ha fortuna: pubblicato almeno altre nove volte in altrettanti testi. Ma mostra sempre una vasta parte di uno dei due pannelli maggiori mancante: nell’angolo in alto, a destra. Una foto del 1928, è sicuramente diversa da quella che l’ha resa nota: presumibilmente, l’urna è ancora ad Anagni. Matilde Mazzolani per prima la dichiara «dispersa», nel 1969. E proprio dagli Anni 60, l’oggetto si ritrova a Londra: prima è del collezionista K. J. Hewett, morto nel 1994 a 80 anni, poi, di Howard Ricketts. Ma nel 1976, varca l’Oceano. È a Chicago: cambia per tre volte padrone, fino a che non va all’asta da Sotheby’s, a New York.
IL FRAMMENTO
Intanto, a Londra, in un’altra asta di Sotheby’s del 1988, compare anche il frammento mancante. Dichiarato, in maniera errata, «copia dall’antico». Però, all’atto dello scavo, la contessa Lovatelli aveva certificato che niente di più era stato trovato: i tombaroli si sono prodigati, nuovamente, nel terreno della scoperta? Comunque, il lacerto è comperato da Ariel Herrmann, che, poco dopo l’acquisto dell’urna da parte del Met, lo dona al museo. Combacia perfettamente, e completa la faccia mutila. In gran parte ricomposta (tranne un lato minore con la falsa porta), l’urna viene esposta nella nuova galleria del Metropolitan, restaurata grazie al dono di 20 milioni di dollari della fondazione Shelby White e Leon Levy: famosa coppia di collezionisti, che ha già restituito all’Italia oggetti scavati di frodo, Infatti, non disdegnava di acquistare capolavori dell’antico estratti illegalmente dal nostro sottosuolo, ed usciti di contrabbando dal Paese.
IL GIALLO
Ariel Herrmann nasce Kozloff, è stata curator al museo di Cleveland e suo marito John, a quello di Boston. Entrambi sono spesso citati nel processo contro Gianfranco Becchina: uno dei due grandi “trafficanti” italiani cui, in Svizzera, sono stati confiscati migliaia di pezzi e foto. John viene definito mediatore per la coppia Levy-White. La moglie, per ammissione del memoriale di Robert Hecht, che ha ceduto al Met il Cratere di Eufronio con la “Morte di Sarpedonte” ora tornato a Villa Giulia, ha accresciuto la collezione con oggetti dal nostro Paese, e, dal 1980 al 1994, è stata in contatto con Becchina, trattando acquisti. Ma ha pure messo a punto la documentazione dei reperti poi confluiti nella collezione Fleischman, venduta al Getty ma ritenuta strumento per riciclare i reperti dall’allora Pm Paolo Giorgio Ferri. Stranamente, il nuovo frammento dell’urna di Anagni arriva proprio a lei.
Un’urna dunque di mille misteri. Tranne uno: dall’Italia, è uscita di contrabbando. Sandra Gatti, a lungo a capo dell’Ufficio esportazione di Roma, non ha trovato le tracce di nessuna autorizzazione, obbligatoria dal 1909 in poi.
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È stata scavata ad Anagni nel 1899, ed è uscita dal nostro Paese senza nessun permesso: probabilmente, negli Anni 60 del secolo scorso. E ora è al centro di un mistero, perché dopo l’acquisto, è incredibilmente saltato fuori, e chissà come, un rilevante frammento che la completa. È una storia tutta da raccontare, per le sue mille stranezze. Il reperto non mostra volti, o nomi ed epigrafi, su alcun lato: su tre, solo svariati cumuli di scudi, schinieri e corazze, le ruote d’un carro; l’altro ha una falsa porta affiancata da alberi d’alloro, ma è molto lacunosa. Un evidente bottino di guerra. Per Sotheby’s, «un esempio unico». «Gli specialisti l’hanno paragonata alla base della Colonna Traiana», dice Sandra Gatti, archeologa della soprintendenza per il Lazio
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LA STORIA
Ne parla per la prima volta la contessa Ersilia Caetani Lovatelli, nel 1900: trovata ad Anagni, sui campi di Pietro Balestra, a due chilometri dalla Villa degli imperatori, già di Marc’Aurelio, poi dei Severi. Durante i lavori agricoli, una camera sepolcrale rettangolare, con l’urna «infranta in vari pezzi»; altri frammenti «non fu possibile recuperarli, per quante ricerche ed escavazioni fece a tal effetto il sig. dott. Pietro Balestra». Non si sa a chi appartenesse, certamente a un condottiero ma al ritrovamento, mancava ogni iscrizione. È in marmo lunense, «assai leggiadramente istoriata». Gli insiemi di oggetti bellici la fanno quasi sembrare un’opera assai più vicina a noi: se è lecito lo sfondone, quasi cubista. Se ne accorge anche il Metropolitan. All’asta, è quotata da 60 a 90 mila dollari però il museo ne sborsa parecchi di più, pur di averla: «Altamente inusuale la sua iconografia», «i pannelli rappresentano un lavoro di alta qualità, eseguito per una committenza speciale».
L’oggetto ha fortuna: pubblicato almeno altre nove volte in altrettanti testi. Ma mostra sempre una vasta parte di uno dei due pannelli maggiori mancante: nell’angolo in alto, a destra. Una foto del 1928, è sicuramente diversa da quella che l’ha resa nota: presumibilmente, l’urna è ancora ad Anagni. Matilde Mazzolani per prima la dichiara «dispersa», nel 1969. E proprio dagli Anni 60, l’oggetto si ritrova a Londra: prima è del collezionista K. J. Hewett, morto nel 1994 a 80 anni, poi, di Howard Ricketts. Ma nel 1976, varca l’Oceano. È a Chicago: cambia per tre volte padrone, fino a che non va all’asta da Sotheby’s, a New York.
IL FRAMMENTO
Intanto, a Londra, in un’altra asta di Sotheby’s del 1988, compare anche il frammento mancante. Dichiarato, in maniera errata, «copia dall’antico». Però, all’atto dello scavo, la contessa Lovatelli aveva certificato che niente di più era stato trovato: i tombaroli si sono prodigati, nuovamente, nel terreno della scoperta? Comunque, il lacerto è comperato da Ariel Herrmann, che, poco dopo l’acquisto dell’urna da parte del Met, lo dona al museo. Combacia perfettamente, e completa la faccia mutila. In gran parte ricomposta (tranne un lato minore con la falsa porta), l’urna viene esposta nella nuova galleria del Metropolitan, restaurata grazie al dono di 20 milioni di dollari della fondazione Shelby White e Leon Levy: famosa coppia di collezionisti, che ha già restituito all’Italia oggetti scavati di frodo, Infatti, non disdegnava di acquistare capolavori dell’antico estratti illegalmente dal nostro sottosuolo, ed usciti di contrabbando dal Paese.
IL GIALLO
Ariel Herrmann nasce Kozloff, è stata curator al museo di Cleveland e suo marito John, a quello di Boston. Entrambi sono spesso citati nel processo contro Gianfranco Becchina: uno dei due grandi “trafficanti” italiani cui, in Svizzera, sono stati confiscati migliaia di pezzi e foto. John viene definito mediatore per la coppia Levy-White. La moglie, per ammissione del memoriale di Robert Hecht, che ha ceduto al Met il Cratere di Eufronio con la “Morte di Sarpedonte” ora tornato a Villa Giulia, ha accresciuto la collezione con oggetti dal nostro Paese, e, dal 1980 al 1994, è stata in contatto con Becchina, trattando acquisti. Ma ha pure messo a punto la documentazione dei reperti poi confluiti nella collezione Fleischman, venduta al Getty ma ritenuta strumento per riciclare i reperti dall’allora Pm Paolo Giorgio Ferri. Stranamente, il nuovo frammento dell’urna di Anagni arriva proprio a lei.
Un’urna dunque di mille misteri. Tranne uno: dall’Italia, è uscita di contrabbando. Sandra Gatti, a lungo a capo dell’Ufficio esportazione di Roma, non ha trovato le tracce di nessuna autorizzazione, obbligatoria dal 1909 in poi.
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